davefav
31 de agosto de 2024
Se a tutt’oggi è lecito meravigliarsi della capacità connaturata ai presocratici di sintetizzare con espressioni pregnanti l’essenza del reale, non potrà costituire elemento di stupore la conclamata grandezza dell’hotel Ca’ Sette, fulgido esempio di come un casolare di campagna abbia l’obbligo di ristrutturarsi in un’epoca condizionata dal proprio bisogno di esaltare ogni attività che si senta in diritto di definirsi un resort. Un curatissimo giardino, che potrebbe essere inglese se non si trovasse in Veneto, incoraggia timidamente gli ospiti alla conversazione peripatetica, specie nell’immediatezza del postprandiale o nell’ora di compieta, in cui l’urgenza fisiologica si fa somma. La bellezza dell’edificio, già esaltata dalla magnificenza degli esterni, diventa apicale allorché si dia la fortuna di poterne ammirare gli interni, dal rutilante chiocciolone di scale che consente la deambulazione fra i piani alla spettacolare lunghezza dei corridoi, su cui si affacciano a decine gli ingressi alle stanze da letto. La loro intima bellezza, indiscutibile anche per i non provvisti dei basilari rudimenti di sensibilità estetica, è abbagliante quanto i raggi solari che al mattino fendono gli spessi tendoni posti a guardia delle finestre, rassicurando i fotofobici sull’inutilità di impostare ogni forma di sveglia. Lo spessore dei muri esterni, termicamente isolanti come solo la pietra ha sempre saputo isolare, garantisce a tutt’oggi la necessità di dormire sotto piumoni e coperte invernali anche nelle estati più torride, procurando un caldissimo brivido agli invasati del riscaldamento globale. Solo la sottigliezza delle moderne pareti divisorie in cartongesso che delimitano le camere consente ai loro ospiti di visualizzare con margine d’errore prossimo allo zero gli scenari che animano le stanze adiacenti, siano essi forsennati galoppi di bambini scalzi o di coppie focose in procinto di concepirli. Nei ritiri agresti capita sovente di prodursi in dormite maestose, e questa straordinaria locanda a quattro stelle non fa eccezione: io e la mia compagna abbiamo dormito veramente alla grandissima, destandoci ogni mattina con notevoli e svariati appetiti. La colazione, servite in una sala ristorante il cui sviluppo planimetrico può vagamente ricordare il Sanssouci di Potsdam, è squisita come solo negli anni ottanta le colazioni sapevano essere, e vale la rinunzia alle delizie dell’oversleeping richiesta dai suoi orari. Un doveroso plauso va al personale incaricato al servizio di concierge, la cui acutezza dei sensi, unita ad una genuina inclinazione a tenere tutto sotto controllo, vanificherebbe totalmente l’utilità delle telecamere di sorveglianza anche nel caveau di una banca svizzera: estremamente professionale e urbano nei modi, si rivela impeccabile nel trasmettere agli ospiti una costante sensazione di presenza, apparendo sempre opportuno nel rispettare la loro privacy ed estremamente attento a non varcare gli apuleiani confini della discrezione. Q
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